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L’oggetto nei genetic memory

I genetic memory nascono come quadri oggetto, cioè fatti con oggetti da assemblare in modo coloristico ed espressivo; per questo sono installazioni da parete, in quanto la modalità di presentazione è installativa, gli oggetti descrivono campiture di spazio e tendono a prorompere dalle loro teche, d’altra parte, le teche che contengono il loro assemblaggio aderiscono anche al modello del quadro di interni, rilanciandolo.

Costitutivi sono prima di tutto gli oggetti che comandano un certo di tipo di assemblaggio, che determina, con le costrizioni tecniche che ogni volta si impongono, le caratteristiche organizzative della teca finale.

Gli oggetti sono usati come pennelli e la loro forma serve uno scopo diverso dalla loro funzione abituale: serve ad articolare un tema, con uno slittamento semantico, e una capacità espressiva. L’espressione concettuale è inseparabile dall’estetica: i genetic memory sono attraenti, umoristici, eleganti. Il gusto forgia anche il concetto ed è un ingrediente fondamentale di tutta quanta l’operazione, sia essa improntata a un’estetica classica, barocca o postmoderna.

Una circostanza fondamentale è che gli oggetti sono trovati, in casa o lontano, e di colpo si prestano all’operazione artistica per la quale sono disponibili, perché non servono più: un corpetto troppo stretto per essere indossato, un coltello da pesca che non è più usato, una bandiera da barca senza che ci sia ormai la barca, un tondo di velluto per i piattini d’argento, finito in solaio, mentre gli altri piattini d’argento sono in casa, con i loro tondi di feltro bianco; anche lo spostamento di sede allontana l’oggetto dalla sua funzione originaria. Alcune cose sono state riposte ordinatamente allora si trova una specie di tesoro, altre si tirano fuori dal disordine in cui sono finite, allora si ha una sorpresa, altre ancora le si va a cercare perché cosa chiama cosa, ossia una cosa ne richiama un’altra non tanto per associazione di idee, quanto di materie e di colori. Abbinare all’insegna del gusto è un procedimento basilare per i genetic memory.

Ma quali sono le caratteristiche per cui gli oggetti sono selezionati per entrare a far parte di un progetto artistico? Dal momento che, essendo decaduti dalla loro progettualità iniziale, sono ora disponibili, gli oggetti trovati si offrono al desiderio dell’artista alla ricerca di nuovi tasselli per il suo discorso. Al posto delle parole, l’artista ha a disposizione oggetti percepibili e incontra le loro forme. Di più, gli oggetti appartengono sempre o sono appartenuti a qualcuno e la loro forma evoca così una persona: la loro bizzarria o bellezza, i loro colori, le date di stampa o di fabbricazione, innestano empatia e rimemorazione. Di qui l’erotismo degli oggetti, che porta a sceglierli, ad accumularli, a tenersene qualcuno di scorta in caso servisse alla scena, ma poi il fuoco si sposta, appunto, verso lo scenario futuro dell’opera. Non ci si chiede più cosa significa questo oggetto ma cosa può significare e per che cosa può stare come la parte per il tutto. Il tutto è l’uomo/donna che è sempre il vero oggetto della rappresentazione: ogni genetic memory illustra una tendenza, un’inclinazione, molteplici essenze, come coesistono nella persona. L’oggetto di una persona significa quella persona anche come altre persone. Gli oggetti usati sono in questo senso una specie di campionario umano. Nel passaggio dal biografico, o dall’autobiografico, all’intento di scandagliare tipi e posture umane, si delinea lo scenario dell’opera che alla fine avrà scordato il proprio pretesto. Perché ciascun assemblaggio descrive qualcosa di nuovo, è più della somma degli oggetti che lo compongono, ha sempre, comunque, una propria unità. Giunti, rispondenze, contorno della cornice, tengono unito ogni genetic memory, la cui installazione non si disperde nello spazio.

Gli oggetti sono quindi oggetti usati e che non si usano più: la prima condizione è necessaria all’empatia, la seconda all’immaginazione, infatti, l’oggetto è collocato in un nuovo contesto, l’assemblaggio in cui trova una nuova configurazione; la configurazione in cui entra, allude poi a qualcosa che trascende l’oggetto, al suo senso, non direttamente utile, piuttosto evocativo. La terza condizione, ma in realtà è fondante, è il potenziale estetico dell’oggetto, infatti, vederlo e sceglierlo è tutt’uno. Bisogna vedere il potenziale estetico di un oggetto per decidere di impiegarlo artisticamente. In cosa consiste questo potenziale estetico? Certamente ha in sé almeno uno, più spesso molti, di questi aspetti: è di per sé bello, elegante; è insolito, come l’oggetto surrealista; è misterioso, non si capisce a cosa sia servito; è pittorico per i suoi colori; è grafico per la sua sagoma; è inaspettatamente intatto o eccessivamente consumato; è vigoroso o delicato, maschile o femminile; è rapportabile a un’attività della persona; è rapportabile a un atteggiamento morale; è rapportabile a un’abitudine; da solo non è abbastanza significativo e richiede di essere inserito in una composizione che lo fa cambiare di senso, ed è in questo modo che esprime un senso, cioè esprime un’inclinazione della persona, un rischio, un debole, una passione: è un coltello su una scena del crimine, accanto a una figura femminile e un pesce predatore, una boccetta incellofanata accanto al gilé di uno smoking con l’occhio a pesce e braghette disinvolte, un velluto rosso su copertine di libri come il cuore del ricordo, una bandiera su un corpetto lancia in resta con un’esca al posto di una testa, una serie di ami appese a pesci lusinghieri e cangianti con un preservativo di plastica per evocare il sesso e i suoi fili avviluppatori, sono le coste di libri consunti tutti sullo stesso argomento, tutte quante erette come posizioni di principio, in mezzo a raffigurazioni sfuggenti su una manica di mandarino.  Il potenziale estetico è un orizzonte possibile richiamato dall’oggetto e si delinea nella sua composizione con altri oggetti, ha un versante allegorico (il significato/cui allude la parte) e un versante simbolico (il tutto/cui allude il segno).

L’oggetto che non serve più interpella l’artista: l’oggetto vuole servire ancora. Non ha un valore commerciale, se lo vendi, prendi poco o nulla, potresti buttarlo ma è ciò che non vuoi, perché ha un valore che supera il suo disvalore, se sottrai il disvalore al valore la differenza è positiva, vuoi perché ha fascino, vuoi perché ha bellezza, vuoi perché è resistente e ha ancora validità, vuoi perché è ingombrante, insomma esiste, ed è un peccato condannarlo all’inesistenza. Non serve più perché non ci sono più le condizioni per il suo uso (non c’è più la barca, non c’è più chi indossava lo smoking, non c’è più uno scaffale libero per quei libri), ma non è inservibile e per questo non è da buttare: bisogna trovargli una nuova collocazione come una nuova ragion d’essere nella vita di chi lo raccoglie. Soltanto se chi lo raccoglie è un artista allora troverà posto nell’arte. Qui si arriva alla relazione tra soggetto e oggetto, l’oggetto da solo non basta, deve essere integrato all’universo interiore dell’artista che può metterlo o meno anche in relazione con chi lo aveva posseduto, persona di cui conserva memoria e che in tutti i casi influisce da remoto sull’elaborazione artistica di cui l’oggetto verrà a far parte. Il fatto che l’oggetto sia usato è appunto un plusvalore dal momento che aggiunge all’intenzione dell’opera.

Dal momento che è ancora valido ma non serve più, l’oggetto pone di fronte a un’alternativa: o lo getti o lo salvi. Salvarlo equivale a riciclarlo, a immetterlo in un altro ciclo. Bisogna predisporre un cambio di scenario per il suo cambio di vita, di qui l’assemblaggio. Tuttavia non è solo l’oggetto a dettare le regole, l’artista ha già in mente il mondo possibile in cui l’oggetto può rivivere e, se lo seleziona per l’opera che sta progettando, è perché l’oggetto che non serve più adesso si presta. Ma a cosa si presta? Si presta all’operazione dell’arte e alle sue implicazioni, che si svolgeranno nell’opera. L’operazione dell’arte è primariamente costruttiva, dato che ha per risultato un nuovo oggetto; quindi l’oggetto che si presta, rientrandovi, diventa una parte di un oggetto più grande, l’opera, che lo comprende. La prima affinità tra l’oggetto e l’opera è che entrambi appartengono al piano oggettuale. Ciò che nell’oggetto si presta all’opera è su un piano basilare la sua matericità. In secondo luogo, entrando a far parte di un insieme di oggetti nell’assemblaggio dell’arte, l’oggetto selezionato contribuisce a determinare un contesto, nel quale assume esso stesso la funzione di segno. Un solo oggetto non potrebbe dare luogo a un’opera, sarebbe solamente un oggetto privo di altri spessori; invece, nel contesto dell’opera, l’oggetto sta in rete con altri oggetti, con altri significanti, e si presta al discorso dell’artista, che, nelle arti visive, non si esprime a parole. Il linguaggio dell’artista visivo è nel contempo più diretto e più indiretto del discorso formulato. Diretto in quanto gli oggetti sono direttamente presenti, a differenza del referente, ideale, delle parole; indiretto, proprio per l’opacità che l’oggetto contrappone alla parola immateriale: sia l’oggetto sia la parola sono fattori di polisemia, ma l’oggetto è maggiormente univoco proprio per la sua determinazione funzionale (mentre le parole, per così dire, non “servono”), e nell’opera può fungere solo nel modo della sineddoche. L’oggetto nell’opera è sempre una parte, non vale più nella sua interezza autonoma. In altre parole, l’oggetto diventa un materiale dell’opera, uno strumento del suo disegno, ma uno strumento potenziale, poiché in potenza può prestarsi a tale disegno, che non è univocamente comunicativo, bensì è atto a predisporre l’opera come simbolo, con un portato di intuizione e memoria e una complessiva unità. A differenza del ready made, l’oggetto nei genetic memory è tematico nel contesto dell’opera e diventa funzionale all’articolazione dei suoi nessi. Non diventa arte per il fatto di essere scelto, selezionato, ma è scelto sulla base del gusto dell’artista e dei codici del gusto cui l’opera deve corrispondere (pop, elegante, umoristico), cioè è un oggetto scelto perché piace e perché può essere inserito in un tema e nella sua espressione, o svolgimento, quanto l’autore ha in mente, anche solo come intuizione. Può suggerire addirittura uno svolgimento, atto a salvarlo dalla dispersione. Anche in questo caso l’opera è riciclaggio, è fatta apposta per riciclare ma ovviamente ricicla un valore, non meramente un oggetto. Nel potenziale estetico dell’oggetto, rientrano dunque sia l’esteticità del gusto con la sua capacità di instaurare nessi tra il significato e la percezione, ossia la sua capacità di armonizzarsi all’opera, come a un contesto artistico, sia il suo potenziale di senso, che di nuovo è la capacità di rapportarsi sia a un senso più ampio, quello del contesto dell’opera, sia al rinvio a un senso esterno all’opera e da essa richiamato, ossia, al contempo, un senso storico, quello del valore che l’oggetto contribuisce a stratificare, anche una volta inserito dentro l’opera, che se ne arricchisce. In sintesi, il potenziale estetico dell’oggetto è dato dalla sua appartenenza a un gusto, dalla sua storia di oggetto usato e perciò storico, dall’universo valoriale in cui rientra, ossia dal suo senso che ne fa uno strumento di senso. Ma tutti questi portati dell’oggetto possono essere sovvertiti nella composizione dell’opera, l’importante è che l’oggetto non è neutro e proprio per questo deve essere manipolato dall’artista, che non ha tra le mani un dato grezzo ma un dato che deve riportare al disegno dell’opera, nuovo scopo dell’oggetto. Il fatto che l’oggetto si presti allo scopo, nei modi dell’artista, che cioè possa avere un nuovo scopo, è anch’esso parte del suo potenziale estetico. Nel potenziale estetico dell’oggetto, sono riconducibili all’esteticità il gusto e la capacità di instaurare connessioni, l’attitudine a significare in un contesto, il valore, poiché l’estetica si riconnette anche al senso dell’insieme (simbolo) e alla veicolazione di un valore (senso), mentre sono riconducibili alla potenzialità, il suo essere strumento e la sua capacità di acquistare un (nuovo) scopo. A proposito del valore, si devono notare alcune altre caratteristiche dell’oggetto nei genetic memory. L’oggetto nei genetic memory non è neutro anche perché è appartenuto a qualcuno e la prima motivazione di interesse sta nell’empatia che si stabilisce tra l’artista e l’oggetto/persona che lo ha posseduto. Tale empatia è successivamente superata dalla priorità del disegno dell’opera. L’oggetto è quindi collegato a un soggetto, uomo o donna che sia, il suo precedente possessore, e alla classe (culturale e sociale) cui il possessore apparteneva con maggiore o minore originalità di posizioni. L’importante è che gli oggetti selezionati per i genetic memory non sono oggetti tipici, o eminentemente tipici ed emblematici, della società di massa: anche quando l’oggetto è di fabbricazione industriale, anche quando l’oggetto si riferisce a uno sport, oppure a una pratica diffusa, rimane sempre in qualche misura elitario. L’oggetto scelto non è mai strano, anche quando non se ne capisce immediatamente l’uso, è piuttosto ogni volta singolare. E’ l’oggetto di un singolo e rimane anche nell’opera un oggetto particolare. Questa particolarità rientra anch’essa nel suo potenziale estetico. Particolare non vuol dire che fa eccezione ma che è relativo a una sfera privata prima che sociale o socioculturale, anche se di costume. Ad esempio, se si tratta di uno sport, e nei genetic memory ricorre quello della pesca, non interessa tanto che gli oggetti appartengano a una forma di consumismo, ma interessa ai fini dell’opera che quegli oggetti siano stati i giochi privati di una persona che, sì, se ne è servita, ma soprattutto se ne è intrattenuta, li ha studiati, ci ha giocato maneggiandoli. Questo rientra nell’esteticità dell’oggetto, il fatto che sia stato un gioco, che sia stato un intrattenimento piacevole ancor più che utile. L’oggetto dei genetic memory non è mai futile ma ha sempre un grado di piacevolezza sopra alla sua funzione utile, è relativo al gioco. L’oggetto è utile ma non utilitaristico, non serve alcuno sfruttamento, serve a una attività, come si era detto, ma in primo luogo serve all’uomo estetico. Per questo l’oggetto piace anche all’artista che percepisce attraverso l’empatia come fosse piaciuto e come sia stato per ciò anche caro, al suo possessore. L’oggetto è un gioco e un gioco che piace e piacendo diventa estetico entrando a fare parte dell’arte. Il desiderio dell’artista che si impossessa dell’oggetto non è tuttavia mimetico ma è interpretativo, riguarda il come questo oggetto possa cedere e/o assumere significato nello scopo dell’opera. Per questo, l’oggetto è interessante (per l’artista). L’artista è il solo o comunque il primo a interessarsi di un oggetto altrimenti da buttare. Infatti l’oggetto, pur essendo valido, non ha un valore di vendita considerevole e in questo senso non ha valore commerciale, ossia ha un valore del tutto minore e non significativo in confronto all’interesse e quindi al valore che può rivestire nell’opera. Anche questo è potenziale estetico, dove i due termini non vanno separati, posto che potenzialità ed esteticità sono simultanee. In conclusione, l’oggetto dei genetic memory ha uno statuto diverso dal ready made, poiché ricade sotto la giurisdizione del gusto, ed è diverso dall’oggetto surrealista, poiché non colpisce immediatamente, ma in virtù di una mediazione concettuale, che lo colloca nel dominio anche codificato dell’estetica, inoltre non rinvia a una dimensione ulteriore della realtà, semmai a un suo spessore storico, entrando in comunicazione con l’universo mentale, in qualche modo già predisposto, dell’artista che se ne appropria.

Esiste tuttavia anche un tipo particolare di oggetto, non nuovo ma non necessariamente usato, di cui si fa spesso uso nei genetic memory, e un uso grezzo, non lavorato: le esche da pesca. Anche in questo caso, non sembra di potersi riferire al semplice inserimento di un ready made, prima di tutto perché le esche sono fatte per sedurre, attirare, ingannare e, in effetti, non solo per questo ricadono sotto la giurisdizione del gusto, che è insieme istinto e istinto che si tradisce nell’appetire un tranello, per i pesci, ma addirittura sono oltremodo gradevoli per l’occhio dell’uomo, infatti, hanno colori forti ma mai stridenti, con l’ornamento delle piume che le fanno sembrare uccelli, con baluginii loro propri. L’esca ha poi un potente valore simbolico proprio in virtù dell’allusione al sedurre. Ha un’espressione quando è dotata di occhi, occhi ciascuno da un lato della testa, per cui appare sempre un occhio solo, sgranato, che si presta all’ironia o all’assurdo. E assurdità e ironia sono una costante, più o meno evidente, nel lavoro dei genetic memory, nel loro raccontare un atteggiamento in una storia. Vi sono poi esche che corrispondono al genere della femminilità, o al genere della mascolinità, armate e falliche. Anche gli ami quando fanno capolino sono secondo il contesto allusivi. Ci avvertono di un pericolo, di un rischio sottostante, ironizzano sull’innocuità dell’arte. Le esche non sono mai troppo consumate nei genetic memory proprio per dispiegare tutti i loro mezzi, non possono essere un’arma spuntata, non è quello il loro senso, anzi fanno mostra di una baldanza, sono aggressive ma gioiose, possono assumere esse stesse il ruolo della vittima, vittima di un’esca più mascolina. La seduzione e l’inganno, la perniciosità e lo sguardo attonito, rendono le esche antropomorfe e appunto esse stanno per lo più come personaggi nella composizione. Come materiali artistici, le esche apportano anche l’effetto della novità, in quanto non sono state sinora davvero sfruttate al di fuori dei genetic memory. La novità è anche tecnica, poiché le esche anche di qualche anno fa sono una produzione industriale in grado di eccellere anche al confronto con l’artigianato più sapiente. Sono soprattutto americane e va detto che sono fatte benissimo. Ci si può incantare a guardarle e l’artista deve resistere per non abusare nel loro impiego. Come leit motiv dei genetic memory tracciano una continuità nella discontinuità – i genetic memory sono molto diversi l’uno dall’altro – e ne sottolineano la trama. La loro regola è essere usate in modo grezzo per significare il sommo artificio. Ci informano che la storia, nei genetic memory, ha anche la consistenza del gioco, dell’invenzione, della fantasia, del riso e del capriccio. La loro presenza equivale alla presenza del barocco nell’estetica dei genetic memory. Il potenziale estetico delle esche è ciò che le rende desiderabili, è addirittura la loro ragion d’essere, una funzione primaria, non accessoria o storicizzabile come negli altri oggetti descritti. L’esca riporta anche all’arte antica, come imitatio naturae, per imitare le bellezze del mare è bella, e all’eterno dilemma naturale/artificiale che attraversa il versante etico dell’estetica; non è ready made tout court, non è oggetto usato, ha sembianze logiche, perché naturali e adatte allo scopo, e, con i suoi incantesimi, seduzioni e minacce, diventa una sorta di oggetto magico dell’arte.